Per un’ecologia coerente e sociale

Riflessioni attorno allo Sciopero per clima

Robin Augsburger

Situazione ecologica e climatica

La situazione ecologica e climatica, in Svizzera e altrove, è drammatica. Il riscaldamento climatico supera già l’1,1° C per rapporto all’era preindustriale. In Svizzera, esso sfiora i 2 °C. Nel nostro paese e in ogni regione del mondo ci si aspettano eventi climatici estremi, sicuramente ben molto più frequenti. Così, siccità, canicole, inondazioni e grandine saranno più frequenti alle nostre latitudini. A questo, si aggiungono gli sconvolgimenti ecologici legati a questo riscaldamento ma anche all’inquinamento o allo sfruttamento artificiale delle terre coltivate. Persino i rischi di pandemia aumentano. Tuttavia, non è ancora tutto perso.
Di fronte a questa constatazione, numerosi movimenti nel mondo intero si battono, già da tempo, per un avvenire meno oscuro di quello che ci è promesso se non si farà nulla. Io mi concentro qui sulla situazione svizzera e sugli insegnamenti che si possono trarre dallo Sciopero per il clima, movimento nato alla fine del 2018 per chiedere misure credibili e urgenti in materia climatica.

Lo sciopero per il clima

Il movimento è emerso attorno agli scioperi studenteschi e alle manifestazioni per il clima, organizzati soprattutto dagli studenti e dai liceali, talvolta già solidamente integrati negli ambienti militanti, sovente totalmente principianti in politica.
Lo Sciopero per il clima è un movimento fortemente decentralizzato, formato da gruppi regionali e locali in tutta la Svizzera o quasi, dotato di gruppi di lavoro nazionali e interregionali autonomi. Esso conduce delle azioni estremamente variate e si coordina grazie a frequenti appelli e riunioni. Tiene regolarmente congressi aperti a tutte e tutti i membri. Riassumendo, le rivendicazioni principali del movimento sono: la rinuncia al carbone da qui al 2030 con riduzione delle emissioni di gas a effetto serra da subito, uno stato d’urgenza climatico, la giustizia climatica come pure il cambio di sistema. Numerose rivendicazioni complementari, in particolare quelle che si rivolgono al mercato finanziario o sono iscritte nei contesti locali, sono state rese pubbliche come pure un Piano d’azione climatico di oltre 300 pagine, disponibile in rete con proposte di misura da fonti scientifiche.

I limiti della politica istituzionale

Se lo Sciopero per il clima è nato dallo sciopero studentesco, da azioni trasgressive, esso non ha abbandonato gli strumenti istituzionali. Anche se questi strumenti sono preziosi, occorre notare che la politica istituzionale non è in grado di rispondere all’urgenza attuale.
Diverse iniziative e referendum sono stati sostenuti o lanciati dallo Sciopero per il clima, come un’iniziativa per trasporti pubblici gratuiti nel Canton Vaud o un referendum contro una circonvallazione stradale nel Canton Neuchâtel. Assieme a una quindicina di organizzazioni della sinistra radicale, diversi gruppi regionali hanno portato un referendum tra il 2020 e il 2021 contro la Legge CO2 federale, giudicata poco ambiziosa, antisociale, ecologicamente nefasta anche dal punto di vista climatico. Questa legge è un esempio flagrante dell’inattitudine delle nostre autorità nel combattere la crisi climatica. La stessa constatazione va fatta per le attività istituzionali a livello cantonale: i piani per il clima sono ridicolmente poco ambiziosi e sottodotati, le politiche pubbliche sono, in generale, ecologicamente disastrose e, anche quando i testi sono adottati, come le mozioni popolari nel Canton Neuchâtel, gli Esecutivi si affrettano a non trattarle.
Nato per protestare contro l’inazione delle istituzioni politiche, lo Sciopero per il clima si organizza oggi per superarle.

Un anticapitalismo necessario

Se le istituzioni politiche sono inefficaci, vedi nefaste, nella lotta contro la crisi climatica e ambientale, occorre fare la stessa constatazione per il nostro modello economico, che ne è inestricabilmente legato: il capitalismo. Nel settembre 2020, lo Sciopero per il clima si è dichiarato ufficialmente anticapitalista, dopo aver constatato che questo sistema economico è incompatibile con un ecologismo conseguente. In effetti, il capitalismo dipende da una crescita continua, per assorbire i guadagni di produttività, pagare i debiti e, osiamo pure dirlo, soddisfare l’ingordigia di guadagno di una piccola minoranza di capitalisti. Dal momento che è impossibile separare totalmente la crescita economica dall’utilizzo delle risorse, è parimenti impossibile preservare il nostro ambiente comune mantenendo il capitalismo: una crescita infinita in un mondo finito non è cosa realista.
Se l’anticapitalismo è necessario, esso non è però sufficiente. E’ contro il produttivismo ad oltranza che dobbiamo lottare. Ora, le logiche produttiviste sono state a lungo onnipresenti nei circoli marxisti, riformisti e spesso anche anarchici. Il campo socialista, se ha molto da dare, deve disfarsi da numerosi concetti per stabilire una società liberata della crescita.

Un conflitto inevitabile

Al di là della sua incapacità di gestire la crisi, lo Stato non esita a reprimere chi tenta attivamente di agire per risolverla o attenuarla. Questo non è nulla di sorprendente. Con l’impegno nell’anticapitalismo, i movimenti ecologisti, fra i quali lo Sciopero per il clima, si scontrano irrimediabilmente con gli interessi dei capitalisti e con il sistema politico che li difende. Storicamente, lo Stato si è costruito per permettere lo sfruttamento delle masse lavoratrici da parte di una minoranza di possidenti, centralizzando il potere, e questo, ben molto tempo prima dell’emergenza del capitalismo.
Il conflitto è dunque strutturalmente inevitabile. Non si tratta di sostituire le elette e gli eletti o le funzionarie e i funzionari con persone migliori perché non cambierebbe di molto nel funzionamento dello Stato. Quest’ultimo non si fa pregare: alcune decine di zadisti (attivisti nel Canton Vaud – nota d. trad.) sono stati condannati, senza processo e imprigionati per violazione di domicilio, malgrado il proprietario della casa fatiscente che essi occupavano (il cementificio Holcim) avesse ritirato la denuncia. Membri dello Sciopero per il clima Vaud sono stati perquisiti dalla Polizia federale con il pretesto di una lettera aperta contro l’esercito. Sembra sempre più plausibile che alcuni attivisti dello Sciopero per il clima siano sorvegliati dai servizi dello Stato e che le intimidazioni da parte della Polizia sono moneta corrente.
Questo non scoraggia tuttavia le attiviste e gli attivisti che continuano a condurre azioni di disobbedienza civile e altre azioni illegali, come per esempio, l’occupazione di Piazza federale nel settembre 2020 e tentano di costruire un movimento con l’obiettivo di organizzare uno sciopero generale.

Lo sciopero per l’Avvenire, un progetto centrale

Dall’inizio del 2019, numerose attiviste e attivisti hanno valutato che gli scioperi studenteschi e le manifestazioni non sarebbero sufficienti per imporre una politica climatica ambiziosa, anche se la mobilizzazione ha proiettato la questione climatica in cima all’agenda politica Ed è in seguito a questa constatazione che è nato il progetto dello Sciopero per l’Avvenire, con l’obiettivo di dar vita a uno sciopero generale che, paralizzando la macchina economica, sarebbe in grado di imporre misure ambiziose e socialmente giuste.
Se si è ancora lontani dallo sciopero generale, lo Sciopero per il clima è tuttavia almeno riuscito a raggruppare accanto a un buon numero di organizzazioni ecologisti i sindacati dell’USS (fra i quali UNIA, la VPOD e Syndicom), Travail Suisse (Syna), Syndibasa (fra i quali SUD e la FAU) e lo Sciopero femminista. I partiti di sinistra sembra sostengano tutti questo progetto, almeno verbalmente. Sono stati formati in Svizzera e in Liechtenstein oltre 150 gruppi locali e regionali. E’ stato reso pubblico un manifesto, chiarificando le posizioni ecologiste, femministe, antirazziste, anticapitaliste, democratiche e altre ancora, caro a questa alleanza eterogenea. Oltre alle manifestazioni e a qualche azione sui posti di lavoro, un impegno di fondo, ancora timido ma ben determinato è in corso nelle diverse organizzazioni, in particolare nei sindacati e all’attenzione delle lavoratrici e dei lavoratori con volantinaggi congiunti tra UNIA e lo Sciopero per il clima di Neuchâtel, sui cantieri.

Una moltitudine di progetti

Se lo Sciopero per il clima è un progetto centrale, non occorre trascurare le altre modalità di azione. Il sostegno alla ZAD (Zone à défendre – nota d. trad.) è stato importante e la ZAD stessa ha permesso di far emergere delle questioni ecologiche (in particolare quella del calcestruzzo) e di sperimentare dei modi di lotta e di vita. Le mozioni popolari permettono, senza grandi sforzi, di far emergere delle rivendicazioni nell’arena politica e obbligano le elette e gli eletti a prendere posizione. Le manifestazioni di strada permettono di incidere nel rapporto di forza e di riunire i militanti. I referendum permettono di ottenere delle vittorie, certo difensive, ma comunque delle vittorie. Le conferenze e i dibattiti permettono di informare largamente la popolazione. Gli spazi di formazione interni sono essenziali nella costruzione di un movimento di massa. La realizzazione di un Piano di Azione climatica ha permesso di dimostrare che le soluzioni necessarie sono tecnicamente possibili. Così, è importante che lo Sciopero per il clima – ma anche gli altri gruppi – continuino a moltiplicare i progetti, con lo scopo di coinvolgere il maggior numero di persone possibili e coprire quanti più aspetti possibili.

Molteplicità di gruppi autonomi e azione comune necessaria

L’autonomia dei gruppi regionali, dei gruppi di lavoro e di individui è cruciale per lo Sciopero per il clima. Questo permette di adattare al contesto locale, di integrare attiviste e attivisti con diversi orizzonti, di non impantanarsi in guerre di apparati o di fazioni e di agire senza avere bisogno di definire una linea totalmente chiara. Essa permette parimenti una grande plasticità e, dunque, una grande reattività di fronte ad eventi talvolta inattesi che punteggiano la vita politica o le nostre vite.
Non bisogna tuttavia trascurare il coordinamento fra i gruppi: la definizione, anche se parziale, di obiettivi prioritari e la comunicazione interregionale sono essenziali. Lo Sciopero per il clima adotta dunque un funzionamento federalista e riesce a coordinarsi grazie a numerosi congressi, a riunioni a appelli di gruppi di lavoro, di gruppi regionali, o decisioni nazionali e all’uso di strumenti collaborativi, senza capo-ufficio permanente, con gruppi ampiamente aperti.
Sia la molteplicità dei gruppi che la loro coordinazione, secondo me, dovrebbero essere i principi base nelle nostre lotte, anche al di fuori dello Sciopero per il clima. I principi federalisti permettono infatti di essere molto più vicini alle realtà locali e di mostrare molta più resilienza che nelle organizzazioni fortemente centralizzate, le quali non sono mai immuni dall’autoritarismo e che faticano a far fronte ai cambiamenti di contesto oppure nei gruppuscoli isolati che rischiano di scomparire senza fatica al minimo intoppo. Inoltre, collaborare puntualmente su progetti concreti, piuttosto che cercare l’unità organizzativa a ogni costo, permette di fare avanzare le nostre lotte anche quando i conflitti ideologici o personali modellano i nostri collettivi e le relazioni tra essi.
Lo sciopero per il clima fa così lavorare assieme militanti provenienti da tradizioni anarchiche, trotzkisti, marxisti-leninisti, riformisti e diverse correnti ecologiste e soprattutto una moltitudine di apprendisti militanti. Questo incrocio, allo Sciopero del clima, non si traduce in guerre di organizzazione (anche se i membri di alcuni agiscono in maniera coordinata in seno al movimento) e permette ad attiviste e attivisti, che non avrebbero mai forse lottato fianco a fianco sotto le bandiere delle loro rispettive organizzazioni, di collaborare, di agire concretamene assieme e di reinventare la lotta ecologista, fuori dai vincoli tradizionali dei partiti e delle altre organizzazioni più classiche.

Democrazia interna, inclusione e formazione

La coordinazione evocata qui sopra si associa – ed è essenziale – a una democrazia interna forte, la più orizzontale e la più inclusiva possibile. Si tratta di permettere a tutte e tutti, poco importa il loro livello di studi, l’età o la situazione professionale di impegnarsi. Un ambiente inclusivo regna nel movimento, anche se imperfetto, malgrado le dissidenze sessuali e di genere, l’ageismo, il sessismo.
Alcune problematiche rimangono tuttavia in evidenza. Le persone razziste sono rare nel movimento, ma forse semplicemente perché lo Sciopero per il clima è nato in un contesto studentesco. Le persone che lavorano a tempo pieno o quasi o che hanno figli fanno faticano a impegnarsi. Se, evidentemente, un’organizzazione non può essere totalmente inclusiva (un movimento di massa non può mai essere un safe space) e le necessità della lotta implicano talvolta il fatto che le persone disponibili o capaci di realizzare certi compiti hanno un peso più grande degli altri, è essenziale assicurare dei funzionamenti i più democratici, orizzontali e inclusivi possibili e di lavorare per migliorarli.
Se la lotta ecologica è centrale, non bisogna trascurare l’aspetto cruciale che è la formazione delle militanti e militanti. Se lo Sciopero per il clima non ha ancora ottenuto la vittoria decisiva sul piano climatico, esso è riuscito a formare migliaia di persone, spesso molto giovani, alla politica extra, vedi anti-istituzionale. Esso sviluppa delle analisi politiche sempre più puntuali, delle rivendicazioni sempre più chiare e mette in atto delle strutture e dei processi sempre più efficaci.
Questo aspetto, intrecciando formazione tra pari, formazione attraverso la pratica e la sperimentazione di funzionamento interno e di modi di azione poco usuali, è cruciale e non deve essere tralasciato. Questo è estremamente importante se si vuole tendere a un movimento di massa. Occorre essere attenti nel non trasformare lo Sciopero per il clima in un’organizzazione di quadri estremamente efficace ma che tiene distanti militanti meno sperimentati che non hanno, talvolta, nemmeno 16 anni. Lo Sciopero per il clima, non avendo la vocazione di formare un’organizzazione unica che condurrebbe da sola la lotta ecologista, permette altri modi di funzionamento (organizzazione di quadri o gruppi affini, per esempio) che possono essere interessanti in altri collettivi. La molteplicità non solo dei gruppi ma pure dei tipi di azione e di funzionamento interno è necessaria nelle nostre lotte. Se il funzionamento decentralizzato dello Sciopero per il clima e le alleanze formate dal movimento devono insegnarci una lezione, è proprio questa.

Creare nella lotta: costruire qui e subito una società nuova

Se la democrazia interna è importante, non si devono però trascurare gli aspetti esterni. Non si tratta qui di aspettare la vittoria finale, che non verrà mai, per realizzare la società dei nostri sogni. Si tratta di costruirla qui e subito, a piccoli passi, nella lotta. Delle esperienze tali che la ZAD della Colline, brutalmente espulsa nel marzo 2021, sono essenziali, parimenti anche le assemblee popolari e i gruppi locali messi in atto dallo Sciopero per il clima e lo Sciopero per l’Avvenire. Cooperative, centri autogestiti, squats, riviste gratuite, reti di auto-aiuto, eccetera, messi in atto da diverse componenti del nostro campo sociale sono parimenti cruciali. E si tratta evidentemente, in queste strutture, di mettere in opera i nostri ideali democratici nel miglior modo possibile.

Verso convergenza delle lotte

La lotta ecologista è indissociabile dalle lotte sociali. Come affermava il discorso dello Sciopero per il clima alla manifestazione del 1° Maggio 2021 a Le Locle, “le lotte ecologiste, femministe, antirazziste, internazionaliste e sindacali non si accontentano di addizionarsi. Esse si completano e si rafforzano!”. Il Manifesto dello Sciopero per l’Avvenire, quanto ad esso, stima che “il sovra-sfruttamento della natura, delle donne, delle persone transgender e/o non binarie, degli esseri e del Vivente hanno la stessa origine: i sistemi della dominazione patriarcale, capitalista, neo-liberale e colonialista.” Questo implica che le nostre differenti lotte devono convergere. Non bisogna evidentemente negare le specificità delle lotte e dei collettivi coinvolti e non cercare di centralizzare o omogeneizzare a oltranza le organizzazioni del nostro campo sociale. Ma occorre costruire dei ponti, riflettere e agire assieme, senza ingenuamente fare come se le divisioni della sinistra fossero senza fondamento ma senza nemmeno attaccarsi a dei dissensi che hanno più il sapore del folclore o delle battaglie di ego che dell’analisi politica.

A modo di conclusione

La lotta ecologica deve assolutamente essere extra-istituzionale, anticapitalista, per la decrescenza, radicalmente democratica nelle sue rivendicazioni e nel suo funzionamento interno, inclusiva, legata alle lotte femministe e internazionaliste e altre ancora. Deve essere decentralizzata ma coordinata, radicata localmente, diversa per essere reattiva e resiliente, portata all’azione diretta.
Si tratta di capire che lo Stato (e forse, come è già il caso altrove, dei gruppi agli ordini diretti da capitalisti) ci sbarrerà la strada fino alla fine, che si deve assumere il conflitto, che occorre prepararsi alla repressione. Occorre finalmente osare sperimentare, testare, inventare e reinventare, uscire dalle briglie ideologiche senza tuttavia trascurare il contributo delle lotte passate. Dobbiamo uscire dal capitalismo e, al di là, dal produttivismo e dello Stato.
Sarà difficile, ma non abbiamo scelta. Lo Sciopero per il clima, ma anche lo Sciopero femminista e delle belle vittorie sindacali in alcuni settori tendono a dimostrare che noi possiamo ancora attenuare la crisi climatica ed ecologica senza rinunciare ai nostri ideali.
Come le declama una banderuola regolarmente dispiegata durante le manifestazioni neocastellane del gennaio 2019: “Vinceremo la fine del mondo”


Per andare più lontano: bibliografia parziale

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Questo articolo è stato scritto in vista della pubblicazione nel Fil rouge, un libro pubblicato a seguito di Form action, il weekend di formazione dei Giovani POP durante il quale l’autore ha tenuto una conferenza sulla legge sulla CO2 e sull’ecologia radicale. È stato pubblicato anche nel Chat déchaîné, organo della Fédération Libertaire des Montagnes, nel febbraio 2022. La versione originale, pubblicata nello Chat déchainé, è disponibile qui.

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